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Soggetto
Questo spezzone molto divertente è tratto da “Attila, flagello di Dio” del 1982. Il film, per la regia di Castellano e Pipolo, si inserisce nel cosiddetto filone trash del cinema italiano degli anni 80 del Novecento. Diego Abatantuono interpreta il re Ardarico che, proclamatosi Attila, marcia su Roma per vendicare il saccheggio dei romani ai danni della sua tribù di Segrate. Esilarante la scena che vede i “barbari” scambiare l’acquedotto che, dalla metà del II secolo d.C., riforniva la Villa dei Quintili per le mura “traforate” della città, secondo loro oramai abbandonata.
L’accordo “monetizzato” tra Romani e “barbari”, per evitare che questi ultimi entrino in città, si svolge ai pedi di Torre Selce. Ci troviamo al VII miglio della via Appia Antica dove si staglia quest’imponente struttura, così chiamata per l’abbondanza della selce impiegata per la sua costruzione, voluta alla metà del XII secolo probabilmente dalla famiglia Astalli. Un grande tumulo funerario del I secolo a.C., sfruttato come basamento, conferisce alla costruzione una straordinaria imponenza e le vergature bianche, per l’utilizzo di scaglie di marmo e travertino, rendeva l’edificio visibile anche da grandi distanze. Da identificare, forse, con la medievale turris de Arcionibus o de Arcione, così chiamata probabilmente in riferimento agli archi del vicino acquedotto dei Quintili, o agli archi di scarico sulla quale è impostata. Fu nota anche come Turris de Sclaceis, nome legato al materiale da costruzione (scilicis = selce). Dagli Atti di papa Innocenzo IV del 1243 e di papa Bonifacio VIII del 1299 sappiamo che la Turris de Sclaceis passò nel 1150 dall’imperatore Corrado III di Svevia ai monaci di S. Gregorio. Nel Catasto Alessandrino del XVII secolo compaiono la merlatura superiore e l’antemurale, oggi non più esistenti.
Regista
Castellano e Pipolo
Anno
1982